Icona della beata Vergine

Icona Maria SS delle Grazie

Icona Maria SS delle Grazie

All’interno di una sorta di edicola d’altare, collocata al termine della parete presbiteriale, è posta l’effigie tardogotica di Santa Maria a Pisciarello, affrescata sulla pietra di tufo locale, con in grembo, appoggiato sul braccio destro, il Bambino, databile al XV secolo. La Vergine vi è raffigurata a pieno corpo, seduta su uno scranno ligneo, rivestita da un μαφόριον ondeggiante puntellato di stelle. Si tratta, in effetti, di un tema iconografico dalle radici alquanto remote nel carinolese nello specifico, ci troviamo di fronte al tipo dell’Έλεούσα, conosciuta in occidente come “Madre di Dio della Tenerezza”, in cui la rigidità di atteggiamento lascia posto all’esplicarsi dei sentimenti umani e degli scambi di affettuosità tra Madre e Figlio.

Nell’icona, infatti, le guance del Bambino e della Madre si avvicinano fino a sfiorarsi, le due figure si scambiano tenere effusioni, la Madre tocca delicatamente con la mano sinistra il piede del Bambino e questi, infine, spinge l’affetto sino a cingere il collo della Madre con il braccio. Tale atteggiamento amoroso è volto a provocare l’λεος, ovvero la pietà e la misericordia verso i credenti: l’effige pone, quindi, in rilievo il tema della maternità e del legame filiale in vista del bene da elargire ai fedeli.

La raffigurazione insiste, inoltre, sull’umanità del Figlio, che presenta movimenti del corpo: si agita e lambisce con la mano la guancia della Madre, mentre la stessa cerca di calmarlo, trattenerlo e consolarlo. Vi si riflette, pertanto, un cambiamento di atteggiamento nella stessa devozione mariana della Chiesa e dei fedeli, forse effetto della predicazione degli ordini mendicanti che, nel XV secolo, permeava la pietà popolare: la circostanza, infatti, che le due figure non presentino corona, scettro o altre insegne, e che il Bambino sia scalzo e indossi un saio, presumibilmente francescano, induce a ritenere l’opera commissionata da religiosi itineranti, probabilmente di passaggio a Casale nella seconda metà del XV secolo.

Ai due lati del capo della Vergine, il cartiglio dipinto presenta la locuzione più naturale per immagini del genere: «Ave Maria», in caratteri gotici. Tuttavia, il pittore – che non doveva essere molto a suo agio con la scrittura – traccia le lettere in modo piuttosto insoddisfacente; come spesso accadeva, infatti, il testo da realizzare in un dipinto era fornito al suo esecutore già scritto e ben impaginato su un cartiglio di pergamena o carta, in modo che questi, pur non sapendo leggere o scrivere, potesse limitarsi a imitare i segni propostigli, dipingendoli, piuttosto che scrivendoli. il testo che il nostro pittore realizza doveva essere in una “littera textualis” tarda e di impronta transalpina, una scrittura in cui le così dette lettere à jambage, realizzate tramite la ripetizione di un singolo tratto verticale, possono talvolta essere difficili da distinguere: lo stesso capita al nostro pittore, che confonde la v di Ave con quella che sembra una n. Meno problematica la A di Ave, che è nel disegno tipico di questa lettera, secondo il modello delle lettere capitali della textualis: presenta, infatti, un tratto di rinforzo nel punto di articolazione dei due assi obliqui, a coronamento della lettera, e una traversa spezzata; anche in questo caso, però, il pittore agisce in modo approssimativo, realizzando tale lettera maiuscola, che avrebbe dovuto essere più grande di circa due terzi dell’altezza delle altre lettere, della stessa altezza di quelle minuscole, contribuendo a rendere il tutto meno facilmente intellegibile.

Si deduce che, alla luce dei dati appena esposti, la costruzione della Cappella sia collocabile tra la seconda metà del 1400 e gli esordi del 1500.

 

Testo tratto dal volume: “Basiliche e Santuari: un cammino millenario”